La giustizia operativa: una sfida anche culturale che vuole riparare il danno, riconciliare vittime e carnefici e che per funzionare ha bisogno di coinvolgere la società civile
I Popolari per Cesena hanno sempre posto al centro del dibattito e del proprio programma la cura e la centralità della Persone, a partire da quelle più fragili e deboli. In occasione del Convegno dal titolo “Sbarre alle spalle. La realtà carceraria dal dentro al fuori” che avrà luogo a Cesena il prossimo sabato 25 gennaio, riteniamo doveroso richiamare l’attenzione ad una sfida anche culturale che deve essere posta al centro dell’impegno della società civile.
Con il termine «giustizia riparativa» si intende un percorso che ha l’obiettivo di permettere a chi ha commesso un reato di rimediare alle conseguenze delle sue azioni. Per fare questo è necessario attivare un processo che, grazie all’intervento di mediatori, coinvolga, purché vi aderiscano liberamente, le vittime (o i familiari) i rei, e la società civile. Non è un modo per accorciare la durata della pena, ma per tentare di ‘riparare’ un danno. Il crimine, in questo senso, viene visto anche come qualcosa che provoca la rottura di aspettative e legami sociali, e per questo ci si può attivare per tentare di ricomporre questa frattura.
Da tempo stiamo seguendo l’operato di diverse cooperative sociali (un esempio su tutti le Comunità Educanti per Carcerati (CEC) della Comunità Papa Giovanni XXIII) che organizzano l’accoglienza dei familiari dei detenuti, dei detenuti in permesso premio, gli inserimenti lavorativi di ex-detenuti presso aziende agricole e commerciali, con la formula delle borse lavoro e della ‘messa alla prova’. «Quasi 8 persone su 10 uscite dalle carceri tradizionali tornano a commettere reati, il 75%. Per chi esce dalle CEC la recidiva si abbassa invece al 15%: meno di 2 persone su 10 torneranno a delinquere. Le alternative al carcere possono rendere più sicuro il nostro paese» ha spiegato Giorgio Pieri, responsabile delle CEC.
C’è un lungo percorso, laborioso e doloroso da fare e servono gli strumenti idonei. Occorre provvedere alla formazione dei mediatori, che hanno un ruolo fondamentale nella mediazione penale, non sempre facile. Essi si trovano davanti a persone che devono recuperare integralmente la loro vita e hanno bisogno di accompagnatori professionalmente preparati. Solo se si investe in questo processo innovativo, penale, processuale e culturale, c’è la possibilità di facilitare l’incontro tra la vittima e il reo senza condizionare il decorso della pena.
La ‘giustizia riparativa’ è innanzi tutto un prodotto culturale, capace di promuovere percorsi di riconciliazione senza dimenticare le esigenze della giustizia ‘retributiva’ (incentrata sul rapporto tra il reato e la pena) e della giustizia ‘riabilitativa’ (più attenta al recupero del detenuto).
Siamo convinti che tale modello possa crescere solo dal basso: è un modello duro e occorre che le parti lo scelgano volontariamente; la mediazione non è negoziazione e l’utilizzo di misure alternative aiuterebbe la macchina della giustizia a diminuire i tempi dei processi e a umanizzare la riabilitazione durante l’espiazione della pena.
E’ importante che le istituzioni promuovano un’attenta analisi della situazione carceraria oggi, verifichino le strutture, i mezzi, il personale, in modo che i detenuti non scontino mai una “doppia pena”; ed è importante promuovere uno sviluppo del sistema carcerario, che, pur nel rispetto della giustizia, sia sempre più adeguato alle esigenze dei diritti e della dignità della persona umana, con il ricorso anche alle pene non detentive o a modalità diverse di detenzione prevedendo la funzione rieducatrice della pena.
Francesco Biguzzi
Portavoce politico